Patologie dei tessuti duri dentali

Tra le patologie connesse con i tessuti duri dentali un ruolo rilevante è dato dalla carie insieme a una serie di entità nosologiche classificate con il termine usura dentale.

La carie

In riferimento alla letteratura internazionale ed alle linee guida dell’W.H.O., la patologia cariosa è definita una malattia a eziologia multifattoriale, localizzata, cronico-degenerativa, post-eruttiva, che interessa il tessuto duro dentale, determinandone la distruzione con formazione di una cavità.
Secondo la World Health Organization (W.H.O.), la patologia cariosa rappresenta una delle affezioni più diffuse tanto da essere considerata una malattia sociale con alti tassi di incidenza in tutti i paesi del mondo e la quarta patologia da trattare, più costosa in termini economici. Mostra una comparsa precoce e colpisce sia la dentatura decidua sia quella permanente.
Secondo diversi Autori, numerosi sono i fattori di rischio per lo sviluppo della patologia cariosa, di cui tre necessari: una flora batterica cariogena adesa alla superficie dentale (biofilm batterico), una dieta ricca di carboidrati fermentabili e ridotte difese intrinseche da parte dell’ospite.
Il biofilm è rappresentato da una comunità microbica complessa, adesa alla superficie del dente (Steele J, 2014), noto anche come placca dentale o placca batterica. In 1 mm3 di placca dentale, dal peso approssimativo di 1 mg, sono presenti circa 108 batteri, appartenenti ad oltre 300 specie diverse (Kaidonis J, 2015). Numerosi esperimenti hanno dimostrato che l’accumulo di batteri sui denti porta, in modo riproducibile, ad una distruzione dei tessuti dentali.

L’usura dentale

Con il termine di usura dentale vengono classificate le perdite di tessuto duro dentale da cause diverse dalla carie, come processi traumatici e/o difetti di sviluppo.
Non sempre l’eziologia di tali problematiche risulta chiara, tuttavia, il meccanismo patogenetico grazie al quale si verifica l’usura dentale è dato dalla combinazione di tre distinti meccanismi: l’erosione, l’attrito e l’abrasione.
L’erosione consiste nella progressiva perdita della superficie dentaria in conseguenza di un processo chimico (W.H.O. Guidelines 2015). È, infatti, provocata, dall’esposizione continua del dente a sostanze acide, quali succhi gastrici legati a malattia da reflusso e a disordini alimentari come l’anoressia e la bulimia nervosa (Georgios A, 2015) oppure all’azione di sostanze alimentari quali acido citrico, acido acetico, acido carbonico (Brown JP, 2015). L’abrasione dentale è dovuta a un meccanismo di reiterata frizione di oggetti estranei che, in maniera scorretta, vengono in contatto con i tessuti duri di uno o più elementi dentari. Le cause più frequenti di abrasione sono le non corrette manovre di spazzolamento, con o senza l’utilizzo associato di dentifrici particolarmente abrasivi (Gil GS, 2015; Hopper BL, 2014; Vargas-Ferreira F, 2015). Abrasioni dentali possono essere anche conseguenti al contatto con il bolo alimentare o con oggetti vari. Anche il continuo frizionamento dei denti tra di loro, come in presenza di parafunzioni o bruxismo (Jańczuk Z, 2012), è responsabile dell’insorgenza di abrasioni.
I tessuti duri dentali possono, inoltre, essere sottoposti ad un meccanismo di attrito per il quale è possibile che si generi, a livello della regione cervicale dei denti, in particolari situazioni di stress masticatorio, di interferenze occlusali, pre-contatti, parafunzioni oppure in presenza di bruxismo (Morales-Chávez MC, 2014), una perdita micro-strutturale di sostanza dentale. Questa viene indicata con il nome di abfraction ed è una lesione, i cui meccanismi ezio-patogenetici, ad oggi, non sono ancora completamente noti. È dovuta ad un fenomeno di flessione del tessuto duro del dente, con la conseguente rottura di un sottile strato di smalto e formazione di microfratture a carico di cemento e dentina (Vargas-Ferreira F, 2015; Wu A, 2014).

Raccomandazioni

  • Particolare attenzione va posta al tipo e alla frequenza di assunzione degli alimenti.
  • L’utilizzo di paste dentifricie fluorate riduce l’incidenza della carie.
  • La sostituzione del saccarosio con lo xilitolo riduce l’incidenza della carie.
  • L’adeguato spazzolamento dei denti riduce significativamente la presenza di placca dentale.
  • L’utilizzo di uno spazzolino elettrico è raccomandabile.
  • Per la prevenzione della carie, si raccomanda la sigillatura dei solchi e delle fessure.
  • È necessario impostare un corretto programma di informazione e di educazione sull’importanza della prevenzione e del trattamento precoce dell’usura dentale.

Le malattie parodontali sono patologie dell’apparato di supporto del dente caratterizzate da infiammazione che può limitarsi alla parte marginale gengivale o progredire con formazione di tasche parodontali, mobilità dentaria, riassorbimento dell’osso alveolare determinando, negli stadi più avanzati, la perdita degli elementi dentari.
La classificazione attualmente utilizzata per le malattie parodontali (International Workshop for the Classification of Periodontal disease 1999; Armitage GC, 1999) distingue:・malattie gengivali (indotte da placca; lesioni gengivali non indotte da placca);

  • parodontite cronica (localizzata, generalizzata);
  • parodontite aggressiva (localizzata, generalizzata);
  • parodontite come manifestazione di malattie sistemiche;
  • malattie parodontali necrotizzanti;
  • ascesso parodontale;
  • parodontite associata a lesioni endodontiche, deformità o condizioni di sviluppo o acquisite.

La Gengivite

È una patologia infiammatoria della gengiva; si manifesta con sanguinamento al sondaggio marginale e /o spontaneo e assenza di perdita di attacco parodontale; può dare ipertrofia gengivale. È causata da infezione batterica che interagisce con la suscettibilità dell’ospite, fattori ambientali e comportamentali (Anerud A et al. 1979; Löe A et al., 1986). La gengivite, se trattata, è reversibile.

La Parodontite

Si manifesta con perdita di attacco parodontale; radiograficamente si può evidenziare una perdita di osso di supporto e clinicamente la formazione di una tasca parodontale; insorge quando il processo infettivo supera il fisiologico punto di attacco connettivale dell’elemento dentario. La distruzione delle strutture di sostegno del dente è il risultato dello squilibrio fra i sistemi di difesa dell’ospite e l’infezione batterica. Questo processo è diverso per estensione e gravità da individuo ad individuo e nell’ambito dello stesso individuo.
La parodontite è sempre preceduta dalla gengivite; la prevenzione della gengivite, pertanto, consente un’efficace opera di prevenzione della parodontite.
Nel corso degli anni, molti studi epidemiologici si sono focalizzati sulla prevalenza delle malattie parodontali. I dati variano in misura considerevole da studio a studio.
I valori di prevalenza nella popolazione italiana sono molto alti (circa 60%) e quelli delle forme gravi o avanzate sono elevati (10-14%), aumentando nelle fasce di età a partire da 35- 44 anni.
La colonizzazione delle superfici dentali da parte dei batteri è riconosciuta come il fattore eziologico principale per lo sviluppo delle malattie parodontali; si è calcolato che 1 mm di placca dentale, del peso di 1 mg, contiene più di 200 milioni di cellule batteriche.
Gli agenti patogeni più frequentemente coinvolti nelle malattie parodontali sono: Aggregatibacter Actinomycetencomitans, Porphyromonas Gingivalis, Tannerella Forsythensis, Prevotella Intermedia, Fusobacterium Nucleatum, Eikenella Corrodens, Spirochete.

Fattori di rischio per le malattie parodontali

Fattori genetici e familiari – Studi effettuati su gemelli omozigoti hanno evidenziato che le variazione della gravità della parodontite e della gengivite cronica nella popolazione dipende per il 38-82% da fattori ereditari. Nella parodontite aggressiva, la percentuale di familiari affetti può arrivare al 40-50% o più. I fattori ereditari interessati sono solitamente difetti minori della risposta immune, fra i più studiati il polimorfismo dell’Interleuchina-1, un mediatore dell’infiammazione, collegato con risultati contrastanti alla parodontite cronica.
I batteri responsabili delle malattie parodontali possono trasmettersi per via orale. È consigliabile, pertanto, una visita per tutti i familiari di un paziente affetto da parodontite.
Fumo – Diversi studi longitudinali confermano che il fumo è il primo fattore di rischio ambientale per le malattie parodontali; più si fuma e maggiore è il rischio di sviluppare la malattia, per di più in forma grave.
Patologie sistemiche – Il diabete insulino dipendente, la sindrome di Down, l’artrite reumatoide, l’infezione da HIV sono patologie che rendono l’individuo più suscettibile alle affezioni parodontali.
Le malattie parodontali, responsabili di una situazione di infiammazione cronica con rilascio di mediatori infiammatori in circolo, possono rappresentare, inoltre, un fattore di rischio per le patologie cardiovascolari, il diabete, il parto pretermine e la nascita di neonati di basso peso rispetto all’età gestazionale. È stata segnalata un’associazione con l’artrite reumatoide.
In pazienti parodontopatici con diabete di tipo 2 poco controllato, la terapia delle malattie parodontali può ridurre i livelli di HbA1c.
Farmaci – Taluni farmaci come gli steroidi, le ciclosporine, i contraccettivi orali, i calcio antagonisti, etc. possono modificare le manifestazioni delle malattie parodontali stesse.
La diagnosi di malattie parodontali deve essere effettuata da tutti gli odontoiatri, su tutti i pazienti, su tutti gli elementi dentali.
Per un corretto accertamento diagnostico sono necessari:

  • un’anamnesi dettagliata;
  • un esame obiettivo locale;
  • l’esecuzione di esami radiografici;
  • l’esecuzione, a volte, di esami di laboratorio microbiologici.

Raccomandazioni

  • Il controllo della placca dentale è una componente fondamentale nella gestione delle malattie parodontali.
  • L’istruzione dei pazienti sulle tecniche di igiene orale domiciliare deve essere parte integrante di ogni piano di trattamento per la cura delle stesse. La frequenza dei richiami va personalizzata sulla base del livello di rischio del paziente che dovrebbe essere sempre inserito in un programma di mantenimento corretto.
  • L’uso dei collutori e dello spazzolino elettrico possono essere d’ausilio nel controllo della placca.
  • La terapia meccanica non chirurgica è la base del trattamento delle malattie parodontali e consiste nella strumentazione meccanica, sopra e sottogengivale, delle superfici radicolari, allo scopo di renderle biologicamente compatibili.
  • La terapia chirurgica deve essere considerata un mezzo aggiuntivo alla terapia meccanica non chirurgica. La scelta della tecnica chirurgica avviene valutando l’anatomia dei difetti e l’architettura gengivale. La mancanza di un’efficace ed efficiente igiene domiciliare esclude il paziente dal trattamento chirurgico. RESETTIVA, RIGENERATIVA
  • La somministrazione di antibiotici per via sistemica, in aggiunta alla terapia meccanica, può offrire dei miglioramenti rispetto alla sola terapia meccanica in termini di guadagno di attacco clinico e riduzione della profondità di tasca nelle parodontiti aggressive. Scarso o nullo è l’effetto nelle parodontiti croniche. La continua emergenza di specie batteriche antibiotico-resistenti rende necessaria una limitazione all’uso degli antibiotici in terapia parodontale.
  • La somministrazione di antibiotici per via topica in aggiunta alla terapia locale meccanica ha effetto limitato nelle parodontiti croniche e scarso nelle parodontiti aggressive.

Edentulismo

La condizione di edentulia presuppone la perdita o la mancanza di uno o più elementi dentari – edentulia parziale – fino all’assenza di tutti i denti – edentulia totale.
La perdita dei denti è una esperienza traumatica e un serio evento di vita che può avere importanti conseguenze psicologiche e sociali e necessitare di interventi significativi .
L’edentulismo totale è comunemente considerato da quanti si occupano di sanità pubblica come un endpoint indesiderabile, che testimonia il fallimento sia della cura stessa che del sistema di assistenza odontoiatrica.
La perdita degli elementi dentari è correlata con l’età, essendo un fenomeno che assume notevole dimensione dopo i 65 anni. In Italia, la quota di persone senza denti naturali si attesta al 50.4% negli over 75. La perdita di tutti i denti naturali è più diffusa tra le donne, soprattutto a partire dai 70 anni: tra le ultrasessantacinquenni la quota raggiunge il 52,2% contro il 47,6% tra gli uomini (ISTAT, 2013).
La popolazione italiana con più di 65 anni di età era, nel 2010, di 12.206.407 (20,4% di tutta la popolazione) con un indice di vecchiaia pari a 144,8 (numero di ultrasessantacinquenni ogni 100 giovani fino a 14 anni). Nel 2013 gli individui con più di 65 anni sono saliti al 21,2% con un indice di vecchiaia pari al 151,4. Le proiezioni demografiche indicano che nel 2060 le persone oltre i 65 anni saranno 20.573.078 con un mantenimento pressoché costante dei giovani e con un conseguente ulteriore invecchiamento della popolazione.
L’aspettativa di vita media per le femmine è salita a 84,5 anni, mentre per i maschi a 79,4 con un evidente incremento negli ultimi dieci anni (2001: femmine 82,9; maschi 76,7).
Questa transizione demografica, simile a quanto succede in altre parti del mondo, si associa a un aumento dei problemi di salute orale con alti livelli di perdita di denti, aumento dell’esperienza di carie e malattie parodontali, xerostomia, cancro orale, tutte situazioni che sicuramente inficiano la qualità di vita.
Relativamente all’edentulia, le conseguenze di tale quadro clinico possono essere di tipo locale e sistemico. L’entità della loro rappresentazione è spesso in funzione al numero delle unità mancanti, pur non essendo questo un criterio assoluto.
A livello locale – stomatognatico – la mancanza di elementi dentari può comportare riduzione della forza masticatoria, insorgenza di attività parafunzionali, problematiche fonetiche ed estetiche nella vita di relazione. A tutt’oggi incerta è la correlazione tra riduzione delle unità occlusali e insorgenza di forme di disfunzioni temporo-mandibolari.
La mancanza di tutti gli elementi dentari comporta sempre una riduzione della capacità masticatoria, un danno estetico-psicologico, uno scadimento della qualità della vita.
La perdita degli elementi dentari influisce negativamente sulla qualità di vita (OHRQoL – Oral Health-Related Quality of Life) e sul grado di auto-stima nei soggetti anziani, essendo altresì un marker delle condizioni socio-economiche di vita.
Per quanto vi siano studi non concordanti riguardo il numero di unità dentarie necessarie per mantenere un’adeguata funzione orale, c’è unanimità di pareri che la funzione masticatoria vari in rapporto al numero e alla distribuzione dei denti con una maggior performance in presenza di molari. La masticazione raccorciata fino ai secondi premolari in antagonismo sembra comunque poter essere in grado di assolvere una sufficiente funzione masticatoria.
Malgrado la correlazione tra perdita degli elementi dentari e lo stato di salute sistemica sia caratterizzata tuttora da un’evidenza limitata , il numero dei denti residui è un fattore predittivo significativo della mortalità nei soggetti anziani , per quanto la complessa interazione tra fattori biologici e sociali non fornisca tuttora una spiegazione definitiva per questa associazione.
Alcuni studi associano la perdita dei denti con la mortalità da cause cardio-circolatorie, altri con l’insorgenza di neoplasie oro-digestive.
È probabile che intervengano fattori nutrizionali correlati alla minor assunzione di vegetali, fibre e il maggior introito di grassi saturi e calorie nonché l’incremento sistemico di mediatori infiammatori.
La principale causa di perdita di elementi dentari in età adulta è rappresentata dalla carie. Sebbene la prevalenza di carie primarie diminuisca col passare degli anni, i soggetti in età matura e avanzata sono soprattutto esposti al rischio di carie secondarie e di carie radicolari in rapporto al maggior numero di restauri presenti, alla maggior esposizione radicolare per problematiche parodontali, alla presenza di protesi rimovibili con ganci, al minor potere difensivo della saliva. Le aree intorno ai restauri sono a rischio di carie a causa della transizione innaturale tra superficie del dente e otturazione o corona protesica. Le carie radicolari si sviluppano rapidamente perché la superficie della radice è meno resistente agli agenti eziologici per la minor mineralizzazione rispetto alla corona dentaria. Le recessioni gengivali, esponendo la superficie radicolare, predispongono allo sviluppo di carie.
Le malattie parodontali sono un predittore significativo di perdita di unità dentarie avendo una prevalenza in crescita in età adulta e avanzata. È stimato che solo il 10% della popolazione anziana abbia un parodonto sano. L’evidenza scientifica attualmente disponibile testimonia che l’invecchiamento per sé è un fattore di rischio per la perdita di attacco. Nell’intervallo di età compreso tra 65 e 74 anni, il punteggio di 4 di CPITN varia dal 4% della Nuova Zelanda al 40% della Germania.
I pregressi trattamenti odontoiatrici sono un ulteriore fattore predisponente all’edentulismo.
I pazienti portatori di ricostruzioni protesiche sono a maggior rischio nel tempo di perdita degli elementi dentari protesizzati rispetto a quelli senza manufatti protesici.
I restauri conservativi di denti cariati non “curano” la carie. Il processo di carie necessita di essere gestito, insieme al paziente, lungo tutto il percorso della vita, con il controllo dei fattori eziologici. La longevità dei restauri conservativi è mediamente inferiore ai 10 anni. La loro sostituzione comporta restauri più estesi con progressivo indebolimento delle strutture dentarie e con maggior rischio di perdita dell’elemento dentario.
Nell’ambito dei fattori di rischio locale per la perdita di denti in età matura va annoverata anche la situazione di iposcialia/xerostomia ricorrente con una certa frequenza nel paziente geriatrico. Bassi livelli di secrezione salivare si traducono in un ambiente orale più acido, con una minor capacità tampone, che contribuisce a predisporre all’insorgenza di carie. Anche la frequente assunzione di liquidi zuccherati per alleviare i sintomi della secchezza delle fauci contribuisce al maggior rischio di carie (Murray T, 2014). Molti farmaci in uso in età avanzata (antipsicotici, antidepressivi, sedativi, diuretici, anti-Parkinson, anti-ipertensivi) possono avere come effetto collaterale la riduzione della secrezione salivare, così come malattie specifiche e l’irradiazione cervico- facciale.
La perdita di elementi dentari è influenzata anche da fattori di rischio di ordine generale, sistemico. Il deterioramento funzionale e cognitivo (m. degenerative del S.N.C., esiti di ictus, demenza senile) e lo scadimento della salute generale comportano fragilità comportamentale con malnutrizione, disabilità, resistenza ai trattamenti preventivi e terapeutici, mancanza di autonomia. Malattie croniche quali diabete, neoplasie, neutropenie, collagenopatie deprimono il sistema immunitario con effetti avversi specifici e generici sulla salute orale. La polifarmacoterapia (farmaci xerostomizzanti, corticosteroidi, anti-neoplastici, immunosoppressori, etc.) influenza negativamente la salute delle varie componenti del cavo orale.
Gli stili di vita incidono sulla perdita dei denti sia per abitudini viziate che per fattori socio- economici. La perdita di denti è maggiore nei fumatori rispetto ai non-fumatori in ambedue i sessi soprattutto in virtù del rapporto fumo-malattie parodontali.
I fattori socio-economici-culturali influenzano la condizione di edentulia. Lo stato socio- economico si associa alla perdita di denti, essendo questa più evidente in soggetti con bassa classe sociale di appartenenza, minori introiti, basso livello culturale. Questi fattori si ripercuotono sugli stili di vita, sulla percezione di necessità di cure orali, sul livello di prevenzione, sulla possibilità di accesso alle cure dentali.
In Italia, l’edentulia totale diminuisce soprattutto tra gli anziani laureati, passando dal 23,7% nel 2005 al 17,9%; rimane, invece, stabile nella popolazione anziana diplomata (circa il 245) e in quella che ha raggiunto al massimo la licenza media (42%) (ISTAT, 2013).
Nel periodo 2005-2012, nel nostro Paese, le visite e i trattamenti odontoiatrici sono state le prestazioni sanitarie a cui si è rinunciato più frequentemente soprattutto per motivi economici. Per gli anziani sono aumentate le disuguaglianze rispetto alla condizione economica della famiglia: gli ultrasessantacinquenni con risorse economiche scarse o insufficienti hanno ridotto il ricorso alle visite di prevenzione (-7%) (ISTAT, 2013).

Raccomandazioni

  • Tutta la popolazione anziana deve essere considerata a rischio di edentulia.
  • La salvaguardia dei denti naturali rappresenta lo scopo principale di qualsiasi intervento preventivo o terapeutico.
  • L’igiene orale domiciliare è un presidio preventodontico insostituibile per contrastare la perdita degli elementi dentari.
  • L’uso corretto di uno spazzolino da denti rappresenta una misura di igiene orale e di prevenzione insostituibile per la salute dei denti naturali o di quelli in sostituzione e del loro apparato di supporto, a qualsiasi età.
  • Il controllo del biofilm orale negli spazi interdentali mediante strumenti appositi è necessario in tutti i soggetti adulti, specialmente nei portatori di manufatti protesici inamovibili.
  • Nei soggetti adulti portatori di manufatti protesici amovibili è fortemente consigliata la scrupolosa igiene quotidiana degli stessi con specifiche modalità.
  • L’uso di un dentifricio fluorato è necessario nei soggetti adulti.
  • Nei soggetti adulti sono consigliate visite di controllo specialistiche con periodicità specifica in rapporto alle condizioni del cavo orale e interventi preventivi mirati per la conservazione dell’articolato dentale.
  • I soggetti adulti e anziani a rischio elevato di carie richiedono misure preventodontiche aggiuntive con prodotti specifici a base di fluoro e clorexidina.
  • Le persone affette da deficit di secrezione salivare necessitano di misure preventivo- terapeutiche particolari per la salvaguardia della salute orale.
  • Nei soggetti anziani sono consigliabili percorsi preventodontici individualizzati in rapporto al grado di autosufficienza.
  • I soggetti anziani istituzionalizzati necessitano di maggiori interventi preventivi e terapeutici.
  • L’alimentazione e gli stili di vita sono fattori determinanti nella salute generale e in quella specifica del cavo orale dell’individuo adulto e anziano.
  • L’eccessiva e frequente assunzione di zuccheri semplici è fortemente sconsigliata.
  • Il vizio del fumo è fortemente sconsigliato.
  • Il ripristino dell’articolato dentale migliora la qualità della vita.

Prevenzione dei tumori maligni del cavo orale

La sopravvivenza a lungo termine dei pazienti con tumore del cavo orale è anche legato allo stadio della diagnosi della patologia. In un recente studio retrospettivo è stato dimostrato come il ritardo diagnostico sia correlato a una scarsa conoscenza da parte dei pazienti dei fattori di rischio e delle problematiche relative al cancro orale.
In uno studio multicentrico condotto in Italia, è stata analizzata la conoscenza dei fattori di rischio, della sintomatologia clinica e delle problematiche del cancro orale da parte dei pazienti afferenti alle cliniche odontoiatriche. Dall’analisi dei circa 2200 questionari somministrati, è emerso come la maggior parte dei pazienti ha riconosciuto come fattori di rischio il fumo e l’eccessivo consumo di alcol. È emersa, altresì, la consapevolezza relativa alla sintomatologia clinica e all’importanza della diagnosi precoce per una migliore prognosi. Tuttavia, meno del 15% dei pazienti ha riferito di aver ricevuto adeguate informazioni sul cancro orale da parte dei medici.

Fattori di rischio sono il fumo di tabacco, l’abuso di alcolici, la malnutrizione, la dieta povera di frutta e verdure fresche, la scarsa igiene orale, diversi agenti infettivi quali Candida, virus di Epstein Barr, virus dell’epatite C, Papillomavirus. Importanti, inoltre, sono l’associazione alcol-tabacco e la presenza di condizioni precancerose. Infine, un ruolo importante svolto nel determinismo dei tumori del cavo orale è quello delle abitudini viziate quali la masticazione del tabacco e la presenza di fattori traumatici cronici.
In merito ai fattori di rischio, attualmente l’analisi dell’espressione genica con tecnologie sempre più avanzate ha permesso una caratterizzazione molto dettagliata dei geni implicati.
Per quanto riguarda il fumo, l’interruzione dello stesso riduce ma non elimina il rischio di sviluppare cancro orale.
Relativamente alle lesioni precancerose, le leucoplachie omogenee hanno un rischio di trasformazione maligna di circa l’1%, mentre le non-omogenee hanno una percentuale di trasformazione molto più elevata (circa 40%). Inoltre, vi è altro tipo di leucoplachia, quella a localizzazione multifocale, denominata orale verrucosa proliferativa, che presenta un rischio di trasformazione maligna molto elevato (oltre il 70%); è più frequente nelle donne (rapporto femmina maschio 4:1) con un picco di età a circa 50 anni.
Il lichen planus è una patologia mucocutanea che interessa la cute e le mucose con un aumentato potenziale di trasformazione maligna. Coinvolge più frequentemente soggetti tra la quinta e la sesta decade di vita, ed è due volte più frequente nelle donne rispetto agli uomini. Il potenziale di trasformazione maligna del lichen planus è stato oggetto di intensa ricerca con studi che hanno dimostrato una percentuale di trasformazione compresa tra lo 0 e lo 12,5%.
L’eritroplachia ha il rischio di trasformazione maligna più alto rispetto e tutte le altre precancerosi del cavo orale (14%-52%).
Anche il tipo di dieta è stato associato al cancro orale, infatti i dati attualmente presenti in letteratura dicono che una dieta ricca di frutta e verdura non amidacee, con cibi contenenti carotenoidi, è associata a una diminuita probabilità di sviluppare tumori della bocca.

  • Promuovere uno stile di vita sano, in particolare rispetto all’uso di alcoolici/superalcoolici e all’abitudine al fumo, specie se associati tra loro.
  • Favorire lo screening e il follow–up periodico, soprattutto per i soggetti a rischio e valorizzare l’utilità di una regolare “auto-ispezione” del cavo orale.
  • Sottoporre ad accurata visita del cavo orale, almeno una volta l’anno, gli individui di età superiore ai 40 anni e, specie in assenza di adeguate cure nel cavo orale, indipendentemente dall’età, coloro che fumano e/o consumano quotidianamente alcolici o superalcolici.
  • Resta valida così come da “Linee guida nazionali per la promozione della salute orale e la prevenzione delle patologie orali in età adulta” – versione novembre 2010.
  • Considerare come caso dubbio ogni lesione che si presenti come macchia o placca, nodulo o erosione-ulcera, o verrucosità, indipendentemente dai sintomi o dalle cause apparenti fino a quando non venga dimostrato il contrario mediante esame istologico.
  • In caso di forte sospetto diagnostico è necessario effettuare una biopsia; tale metodica seguita da analisi e valutazione del campione in laboratorio rappresenta, a tutt’oggi, l’esame gold standard nel determinismo diagnostico di una lesione sospetta. Il prelievo bioptico deve essere eseguito da personale adeguatamente formato. La tecnica bioptica deve essere escissionale per tutte quelle lesioni di dimensioni ridotte e localizzate in zone accessibili e non debilitanti per il paziente. In alternativa, va eseguita la tecnica incisionale a livello dei bordi della lesione, facendo attenzione a includere le aree cliniche più sospette, evitando le zone necrotiche.
  • Recentemente è stata dimostrata la validità nella diagnosi di lesioni potenzialmente maligne mediante tecniche bioptiche a minima invasività come la micro biopsia, con la quale, per mezzo di curette dermatologiche, si ottengono piccoli frammenti di tessuto analizzabili istologicamente.
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